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Ben-Hur

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Ben-Hur vincitore del miglior film
Courtesy of Loew’s Inc.

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La scommessa da 15 milioni di dollari che il topper della Metro Joseph R. Vogel e i suoi soci hanno fatto su una corsa di bighe dovrebbe portare al più grande payoff nella storia del cinema. “Ben-Hur” è una realizzazione maestosa, che rappresenta una superba fusione delle arti cinematografiche da parte di maestri artigiani. “Via col vento”, il campione di incassi di tutti i tempi della Metro, alla fine dovrà passare in secondo piano.

La grande differenza tra “Ben-Hur” e altri spettacoli, biblici e non, è la sua sincera preoccupazione per gli esseri umani. Non sono solo pedine che recitano dialoghi fioriti per riempire i vuoti tra le scene di azione e spettacolo. Suscitano un sentimento emotivo genuino nel pubblico.

Questo è stato realizzato senza sacrificare l’impatto degli elementi d’azione, panoramici e di spettacolo. Infatti, la famosa corsa delle bighe tra Ben-Hur, il principe della Giudea, e Messala, il tribuno romano – un marchio di fabbrica del classico del gen. Lew Wallace – sarà probabilmente conservata negli archivi cinematografici come il più bell’esempio dell’uso della cinepresa per registrare una sequenza d’azione. La corsa, diretta da Andrew Marton e Yakima Canutt, rappresenta circa 40 minuti dell’eccitazione più straziante a cui il pubblico cinematografico abbia mai assistito.

Saggiamente, tuttavia, il film non dipende interamente dal puro spettacolo. Il rapporto familiare tra Ben-Hur e sua madre Miriam e sua sorella Tirzah; la sua toccante storia d’amore con Esther, l’ex schiava; la sua ammirazione per il console romano Quinto Arrio, che salva dopo una battaglia in mare; la sua associazione con il proprietario di cavalli arabo, lo sceicco Ilderim; e la sua lotta con Messala, l’amico d’infanzia che diventa il suo nemico mortale, creano scene commoventi e strazianti. E a mettere in ombra queste intimità e questi conflitti personali è il tema profondamente religioso della nascita e della crocifissione di Cristo.

Il fatto che la storia non sia mai banale o sdolcinata, fattori che hanno sminuito i precedenti film biblici, è un omaggio alla sceneggiatura e al regista William Wyler. Un regista vertiginoso, anche se nuovo al film di spettacolo, è riuscito superbamente a far emergere ogni sfumatura di ogni singola scena e ad eliminare l’artificiosità che è troppo spesso evidente nelle conversazioni topiche tra personaggi biblici.

Karl Tunberg riceve l’unico credito sullo schermo, sebbene scrittori di peso come Maxwell Anderson, S.N. Behrman, Gore Vidal e Christopher Fry abbiano anche lavorato al film. Fry, rispettato poeta e drammaturgo britannico, è stato presente sul set durante tutta la produzione a Roma.

Il cast ben scelto contribuisce notevolmente al risultato finale. Charlton Heston, il Mosè de “I dieci comandamenti”, è eccellente nel ruolo del robusto ma gentile Ben-Hur che sopravvive alla vita da galeotto per cercare la vendetta del suo nemico Messala e dei conquistatori romani della Giudea. Haya Harareet, un’attrice israeliana alla sua prima apparizione in un film americano, emerge come un’interprete di levatura. Il suo ritratto di Ester, ex schiava e figlia di Simonide, amministratore della casa di Hur, è sensibile e rivelatore. Wyler merita presumibilmente un credito premuroso per aver dato una possibilità a una sconosciuta. Ha un aspetto sorprendente e rappresenta un gradito distacco dall’ingenua standard di Hollywood.

Jack Hawkins, nel ruolo di Quinto Arrius, il console romano che adotta Ben-Hur, aggiunge un’altra bella rappresentazione alla sua carriera di attore. Stephen Boyd, come Messala, il nemico di Ben-Hur, non è il cattivo standard, ma riesce a dare comprensione a questa posizione nella sua dedizione all’Impero Romano.

Martha Scott e Cathy O’Donnell sono brave nei panni della madre e della sorella di Ben-Hur che vengono miracolosamente guarite dalla lebbra dopo aver assistito alla crocifissione di Cristo. Hugh Griffith, nel ruolo dello sceicco Ilderim sotto i cui colori Ben-Hur partecipa alla corsa delle bighe, è uno dei protagonisti del film. Altre buone interpretazioni sono date da Sam Jaffe, come Simonide; Frank Thring, come Ponzio Pilato, Finlay Currie, come l’egiziano che seguì la stella a Betlemme, e Andre Morell, come Sesto. Il merito è anche del resto del grande cast e delle migliaia di comparse che sono apparse nel film.

Il film, che ha richiesto 10 mesi di lavoro negli studi di Cinecittà di Roma, è stato fotografato da Robert L. Surtees con il nuovo processo Camera 65 della Metro. Il nuovo processo, mostrato in 70m, raggiunge una chiarezza e una definizione dei colori che sono state rare nelle presentazioni cinematografiche. Surtees ha compiuto meraviglie nel filmare le scene intime così come la corsa delle bighe, la battaglia navale, la nascita e la crocifissione di Cristo, il benvenuto di Cesare all’eroe Quinto Arris, e le varie scene all’aperto di Roma e della Giudea.

I 300 set, costruiti sotto la supervisione degli art director William Horning e Edward Carfango, sono uno dei punti forti del film, in particolare l’enorme arena per la sequenza delle bighe. Anche la colonna sonora di Miklos Rozza contribuisce all’eccellenza complessiva del gigantesco progetto.

Non va dimenticato nei titoli di coda il compianto Sam Zimbalist, morto d’infarto a Roma quando il film era quasi completato. Ben-Hur è il giusto culmine della carriera di Zimbalist come produttore.

Metro ha intrapreso l’impresa in un momento in cui la società era al minimo storico. Il risultato è una completa rivendicazione della politica di Vogel e del suo team di gestione.

Il film dura tre ore e 32 minuti con un intervallo di 15 minuti.

Holl.

1959: Miglior film, regia, attore (Charlton Heston), suppl. attore (Hugh Griffith), fotografia a colori, direzione artistica a colori, suono, colonna sonora di un film drammatico, montaggio, effetti speciali, costumi a colori.

Nomination: Migliore sceneggiatura non originale

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