Da mezzo secolo, le teologie femministe hanno permesso di riscoprire un volto femminile di Dio che reinterpreta le nostre categorie di pensiero. Questa è la prima parte della nostra serie Donne, il futuro di Dio?
Creatore, giudice, maestro, araldo, guerriero…
Queste rappresentazioni, veicolate principalmente dal cristianesimo ma anche in una certa misura dall’ebraismo, hanno impresso nel nostro immaginario i tratti di un Dio essenzialmente maschile.
Anche se l’ebraismo è estremamente consapevole dell’impossibilità, che è stata vietata, di rappresentare Dio, paradossalmente utilizza molte immagini maschili per dirci chi è. Quella dello sposo e quella del padre, che Gesù stesso riprenderà, prevalgono in particolare per descrivere la relazione del Dio d’Israele con il suo popolo.
Da dove viene questa predominanza maschile? Nella genesi del monoteismo, il Dio d’Israele non si è imposto dall’oggi al domani.
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Per diversi secoli, il popolo ebraico, immerso nelle culture politeiste del Vicino Oriente antico, ha condiviso con esse credenze in molti dei e dee.
La Bibbia ne conserva le tracce. Così le circa 40 menzioni bibliche di Ashéra, la dea della fertilità.
Ai tempi dei regni d’Israele e di Giuda, Yahweh era immaginato dall’immagine reale, il re accanto a sua moglie la regina, spiega Thomas Römer, specialista della Bibbia nel contesto del mondo antico e professore al Collège de France di Parigi.
Dopo l’esilio del popolo ebraico, l’idea di un unico Dio è venuta gradualmente alla ribalta, ma si è continuato a parlare di Yahweh come maschile, soprattutto perché il potere sacerdotale è rimasto nelle mani degli uomini.
‘Le caratteristiche di una sorella, di una madre o di un’amata’
Nonostante ciò, è ancora strano, come il testo biblico stesso trabocchi da questo prisma maschile unico, come è stato riscoperto attraverso esegeti e teologhe femministe a partire dagli anni ’70.
Il vocabolario biblico contiene già in sé elementi che indicano un volto femminile di Dio, dice Pierrette Daviau, una teologa canadese che ha co-scritto la recente Bibbia delle donne.
La parola ebraica per respiro, lo Spirito di Dio che aleggia sulle acque all’inizio della Genesi, è femminile (Gen 1,2), proprio come la presenza di Dio in mezzo al suo popolo, Shekinah (Esodo 25,8 e Isa 8,18) o la Sapienza divina, hotmah, quasi personificata nei Libri della Sapienza.
Il genere della parola usata può non avere un significato particolare, ma ciò che conta è che la figura biblica della Sapienza è sempre femminile, sia che prenda la forma di una sorella, madre o amata, di una restauratrice di ospedali, di una predicatrice, di un avvocato, di una liberatrice, di una pacificatrice… scrive Elizabeth Johnson, una delle pioniere della teologia femminista cattolica.
Tutte queste letture mettono in evidenza, accanto alla paternità di Dio, la sua maternità.
Il Dio che partorisce il suo popolo (Dt 32,18; Sal 127,3), lo veglia, lo nutre, lo consola (Is 66,13; 49,15), questo Dio la cui tenerezza e compassione per Israele sono simbolizzate dalle viscere, (Os 11,8-9).
Queste immagini bibliche molto carnali vogliono testimoniare che, a differenza delle divinità di altre religioni, Dio è percepito come una persona, cioè come un essere con cui esiste una relazione personale, dice il teologo Ignatius Berten.
Donna?
Questa enfasi sulla maternità di Dio non è completamente nuova.
Pierrette Daviau, professore emerito della Saint Paul University di Ottawa, mostra che nel corso della storia, soprattutto durante il grande periodo dei beghinaggi (complessi abitativi per donne religiose laiche, nei secoli XI-XIII), alcuni mistici hanno pregato Dio come femmina.
In particolare, Christina de Markyate (1100-1161)- Oh Dio, mia vera Madre, se solo potessi fissare totalmente il tuo volto – ma anche Hildegarde de Bingen o Giuliano di Norwich, per i più famosi.
Come è vero che Dio è nostro Padre, è anche vero che Dio è nostra madre, scriveva Giuliano. E ancora: Io sono la Potenza e la Bontà del Padre; io sono la Saggezza della Madre.
Tutto questo ha portato alcuni cristiani negli ultimi decenni, soprattutto i cristiani preoccupati di essere inclusivi, a pregare a loro volta Dio al femminile, alcuni nel mondo francofono, arrivando a scrivere Dea e a invocare una Christa.
Al di là di questi approcci femministi radicali, che cercano di controbilanciare il carattere esclusivamente maschile del cristianesimo, queste riletture bibliche hanno permesso di allargare lo sguardo su Dio, sul suo mistero.
Dio al di là del maschile e del femminile e allo stesso tempo ricco di entrambi, colui che ha creato a sua immagine l’uomo, maschio e femmina, secondo il primo capitolo della Genesi. Dio che non è solo nella potenza ma anche nella tenerezza.
Queste riletture gettano nuova luce anche sul posto delle donne nella Bibbia.
Non ci sono più divinità femminili in cielo, ma donne da incontrare sulla terra che sono le staffette privilegiate o addirittura inaugurali della rivelazione divina, dice il domenicano Philippe Lefebvre, professore di Antico Testamento all’Università di Friburgo, Svizzera.
Matriarchi, profeti dell’Antico Testamento o discepoli di Gesù nel Nuovo, vedono spesso ciò che gli uomini non vedono, soprattutto alla Resurrezione.
Tali storie sono abbastanza sorprendenti in questo mondo antico. Mostrano il carattere ottuso dei discepoli che non capiscono subito, a differenza di loro, ma che ricordano subito le parole di Gesù (Luca 24,1-12), dice padre Lefebvre.
La Bibbia presenta così, ai suoi occhi, una sfida permanente – cosa si fa con le donne? – da cui non si traggono sufficienti conclusioni.