Come ogni studente di filosofia politica contemporanea può testimoniare, la teorizzazione della giustizia distributiva ha giocato un ruolo considerevole nella disciplina negli ultimi cinquant’anni. La giustizia distributiva ha interessato i filosofi politici di altri periodi storici1 , ma nessuno può negare – anzi, questo è ormai un ritornello consolidato – che dalla pubblicazione di A Theory of Justice di John Rawls nel 1971, i dibattiti su come dovremmo organizzare le nostre istituzioni sociali ed economiche in modo da distribuire equamente i benefici e gli oneri della cooperazione sociale sono proliferati. Né si può negare che questi dibattiti affrontino alcune delle questioni più profonde e pressanti della filosofia politica. Insieme alla questione della legittimità dello stato o dell’autorità politica, quella della giustizia distributiva si trova al centro del nostro tentativo di individuare criteri per valutare e giustificare reciprocamente le nostre pratiche e istituzioni politiche condivise.2
Questo volume riflette la ricchezza delle questioni che i dibattiti contemporanei sulla giustizia distributiva hanno trattato, e continuano a trattare. I capitoli che lo compongono forniscono una panoramica dello stato di quei dibattiti e identificano la traiettoria in cui essi si stanno, o – secondo i filosofi che hanno scritto questi capitoli – dovrebbero muoversi. Prima di fornire una panoramica di ciò che il volume comprende, questa introduzione offre alcune osservazioni sull’idea di giustizia distributiva: come concepiscono i teorici della giustizia, compresi quelli che contribuiscono a questo volume, la giustizia distributiva, rispetto ad altri tipi di giustizia, e rispetto ad altre richieste non basate sulla giustizia?
Come l’idea di giustizia simpliciter, con la quale è spesso usata in modo intercambiabile, l’idea di giustizia distributiva è stata presa per riferirsi a cose diverse: i teorici della giustizia hanno adottato punti di vista diversi, per lo più senza alcun riconoscimento o difesa esplicita, su ciò che caratterizza e delimita le esigenze di giustizia rispetto ad altre esigenze morali (per esempio, le esigenze di legittimità, comunità, efficienza o stabilità, per citarne alcune centrali). Alcuni hanno anche adottato punti di vista diversi su ciò che caratterizza la giustizia distributiva rispetto ad altri tipi di giustizia.
Alcuni, per esempio, hanno assunto o sostenuto che la giustizia, in contrapposizione alle preoccupazioni umanitarie o alla carità, riguarda i nostri doveri perfetti, cioè i doveri dovuti a individui specifici che non lasciano spazio alla discrezionalità da parte dei titolari dei doveri nel decidere come assolverli (vedi Buchanan 1987). Alcuni hanno sostenuto che la giustizia riguarda i doveri negativi che abbiamo di non danneggiare gli altri, in opposizione a qualsiasi dovere di assistere o aiutare gli altri (Campbell 1974). In alternativa, o in aggiunta, alcuni hanno ipotizzato che ciò che caratterizza i doveri di giustizia è il fatto che sono applicabili, cioè sono doveri che un’autorità legittima può usare la coercizione per assicurarsi che siano soddisfatti (Nozick 1974). Per quanto riguarda la giustizia distributiva, alcuni hanno ipotizzato che ciò che la distingue dagli altri tipi di giustizia è che si tratti di giustizia nella sola distribuzione di vantaggi materiali o economici, o che riguardi solo l’assegnazione, in opposizione alla produzione, di determinati beni; altri hanno invece equiparato l’idea di giustizia distributiva a quella di giustizia sociale, e l’hanno usata per riferirsi a tutti i principi che regolano il bilanciamento delle pretese degli individui a tutti i possibili benefici della cooperazione sociale (Rawls 1999; Bedau 1978). Questi diversi usi delle idee di giustizia e di giustizia distributiva riflettono visioni diverse di ciò che caratterizza questi valori sociali e li distingue da altre esigenze morali, e in ciò che segue identificherò alcune dimensioni chiave lungo le quali tali visioni variano.
In via preliminare a questa discussione, è utile chiarire come la variazione su cui sto richiamando l’attenzione qui si colleghi alla più familiare variazione tra diverse interpretazioni delle esigenze di giustizia, o tra principi di giustizia concorrenti.
I teorici della giustizia sostengono ampiamente concetti astratti e condivisi di giustizia e di giustizia distributiva: sono d’accordo sul fatto che la giustizia consiste nel dare a ogni persona ciò che gli spetta, o nel trattare casi simili allo stesso modo; e che la giustizia distributiva è la giustizia nella distribuzione dei benefici e degli oneri agli individui, o consiste nel bilanciamento delle rivendicazioni concorrenti delle persone sui benefici che sono in distribuzione.3 Ma, come spesso si osserva, i teorici della giustizia sono in disaccordo su come interpretare queste idee astratte e, di conseguenza, formulano diverse concezioni della giustizia e della giustizia distributiva.4 In particolare, queste concezioni riflettono diverse interpretazioni di quali considerazioni siano rilevanti per trattare casi simili e casi diversi in modo diverso, o per determinare un bilanciamento delle richieste. Per esempio, la meritevolezza delle persone, o il loro bisogno, è rilevante per dare agli individui ciò che spetta loro? Trattare le persone allo stesso modo è necessario per regolare equamente le loro rivendicazioni concorrenti? Queste domande sono la base di molti dibattiti tra i teorici della giustizia.
(p. 3) Oltre a non essere d’accordo su ciò che la giustizia richiede, i teorici della giustizia non sono d’accordo nemmeno su quali altre caratteristiche, se ce ne sono, della giustizia e della giustizia distributiva, oltre a quelle che caratterizzano le idee astratte catturate dai concetti condivisi, siano essenziali per comprendere queste idee5 e per distinguerle da altre richieste morali.6 Questa variazione è ciò che qui ci interessa: cosa intendono i teorici della giustizia dicendo, e cosa ne consegue dal loro dire, che un particolare principio che difendono come l’interpretazione più difendibile del concetto di giustizia (per esempio, il deserto, il bisogno o l’uguaglianza) è un principio di giustizia distributiva, piuttosto che, diciamo, uno di giustizia correttiva o un principio umanitario?7
Nell’identificare i diversi punti di vista che i teorici adottano su ciò che caratterizza la giustizia distributiva, è utile notare che ci sono quattro dimensioni principali e interrelate lungo le quali essi tendono a variare, che riguardano, rispettivamente, (i) le precondizioni; (ii) il soggetto; (iii) l’oggetto; e (iv) il significato normativo della giustizia distributiva.8
(i) Le precondizioni della giustizia distributiva sono le condizioni che devono verificarsi perché le considerazioni sulla giustizia distributiva siano pertinenti. Le “circostanze della giustizia” di David Hume sono un caso esemplare: la maggior parte dei teorici contemporanei concorda con Hume sul fatto che le questioni di giustizia distributiva sorgono solo quando c’è una relativa scarsità materiale (né grande abbondanza né estrema scarsità nelle risorse di cui la gente ha bisogno e che desidera). In queste condizioni, c’è sia un’identità che un conflitto di interessi tra gli individui che rendono necessaria e possibile la ricerca dei principi necessari per risolvere equamente le rivendicazioni conflittuali. Comprendere la giustizia distributiva come implicante un bilanciamento di rivendicazioni concorrenti su ciò che è distribuibile, come è stato suggerito prima, riflette l’accettazione dell’idea che le rivendicazioni di giustizia distributiva sorgono solo se si verificano le circostanze della giustizia. Questo punto è ampiamente condiviso tra i teorici della giustizia distributiva, ma in alternativa, o in aggiunta, alcuni pensano che l’esistenza della cooperazione sociale sia necessaria perché sorgano le richieste di giustizia distributiva, in quanto è solo nel contesto delle relazioni di reciprocità che gli individui possono rivendicare la condivisione equa dei beni che la cooperazione sociale rende disponibili (Rawls 1971). Un altro punto di vista sostiene che le considerazioni sulla giustizia distributiva sono pertinenti solo quando ci sono istituzioni condivise attraverso le quali esercitiamo coercizione gli uni sugli altri, o che parlano in nostro nome (Nagel 2005), poiché solo queste pratiche innescano una domanda di giustificazione che può essere soddisfatta solo rendendo giuste quelle pratiche. Potremmo inoltre ritenere che, nel contesto delle istituzioni condivise, solo lo svantaggio causato intenzionalmente ed evitabilmente da tali istituzioni, piuttosto che il risultato di cause naturali, sia ingiusto (Nagel 1997).
(ii) Le discussioni sulla giustizia distributiva concepiscono anche ciò che la caratterizza in modo diverso, in linea con ciò che considerano il soggetto primario della giustizia distributiva (si veda Bedau 1978): sono gli atti degli individui a essere principalmente giusti e ingiusti, tutte le pratiche sociali o solo alcune istituzioni? Notoriamente, la visione della giustizia di Rawls è istituzionalista, nel senso che per Rawls i principi della giustizia sono principi che regolano principalmente la struttura di base della società. Attingendo a Rawls, vari teorici ora assumono che ciò che caratterizza le richieste di giustizia è precisamente il fatto che sono richieste che (certe) istituzioni sociali, nello specifico, devono soddisfare (vedi, per esempio, Scanlon 1998; Tan 2004). Le esigenze di giustizia, da questo punto di vista, identificano un sottoinsieme delle considerazioni morali che riguardano ciò che dobbiamo gli uni agli altri, dove ciò che aiuta a delimitarle è il fatto che esse devono regolare un particolare ambito9 . In alternativa, potremmo pensare che le esigenze della giustizia si applichino principalmente alle distribuzioni di qualsiasi onere e beneficio siano ritenuti rilevanti; da questo punto di vista, le istituzioni giuridiche, le norme sociali e gli atti individuali possono essere tutti valutati come giusti o ingiusti, a seconda che contribuiscano a realizzare, o a interrompere, distribuzioni giuste (Cohen 2008).
(iii) In terzo luogo, diversi teorici della giustizia hanno opinioni diverse sull’oggetto della giustizia distributiva. Secondo un’interpretazione doppiamente ristretta dell’oggetto della giustizia distributiva, concentrarsi sulla giustizia distributiva significa concentrarsi sulla giustizia dei meccanismi e delle procedure che assegnano solo una data quantità di beni, e solo una sottoclasse di beni distribuibili, cioè i beni economici distribuibili come il reddito e la ricchezza. Un’interpretazione più ampia dell’idea di giustizia distributiva adotta una visione più generosa dei beni la cui distribuzione solleva preoccupazioni di giustizia, e/o considera i meccanismi produttivi, oltre a quelli allocativi, come soggetti alle esigenze della giustizia.
Per esempio, potremmo pensare che una teoria della giustizia distributiva riguardi il modo in cui vengono distribuiti beni distribuibili diversi da quelli economici; o, più in generale, che riguardi come gli individui se la cavano in relazione a qualsiasi aspetto del vantaggio che riteniamo moralmente rilevante (per esempio, quanto sono felici gli individui, o se godono di riconoscimento). Questi tipi di vantaggio possono non essere di per sé distribuibili, ma è vero sia che gli individui possono goderne, o avervi accesso, in misura diversa, sia che noi possiamo influenzare il grado in cui le persone possono accedervi o goderne, e questi due fatti rendono intelligibile e sensato applicare considerazioni di giustizia alla distribuzione di questi tipi di vantaggio (p. 5). Un’interpretazione ampia della giustizia distributiva può riguardare anche i meccanismi produttivi che influiscono su quali e quanti beni distribuibili ci siano in primo luogo, piuttosto che concentrarsi solo sui meccanismi di assegnazione dei beni pre-donati. L’idea di giustizia distributiva in questo senso più ampio, che Rawls approva esplicitamente (Rawls 1971: 88), è spesso associata a quella di giustizia sociale. Anche se la maggior parte dei teorici della giustizia tacciono se concepiscono l’oggetto della giustizia distributiva in senso stretto o ampio, i loro principi hanno spesso implicazioni su quali processi produttivi, oltre che sui meccanismi strettamente distributivi, dovrebbero essere in vigore. (Un semplice esempio è un principio che impone la massima uguaglianza di opportunità per il benessere come esigenza di giustizia: diversi assetti produttivi, così come gli schemi allocativi, influenzano l’ampiezza della gamma di opportunità di benessere di cui godono le persone, e realizzare le esigenze della giustizia così intesa richiede quindi l’istituzione di alcuni, piuttosto che di altri, schemi produttivi. Nella maggior parte dei punti di vista, le considerazioni sulla giustizia distributiva ci offrono ragioni molto importanti per agire. Ancora di più, l’ingiustizia è per la maggior parte dei punti di vista una ragione decisiva per alterare gli accordi: come Rawls ha notoriamente affermato, “leggi e istituzioni, per quanto efficienti e ben organizzate, devono essere riformate o abolite se sono ingiuste” (Rawls 1971: 3). Per alcuni punti di vista, come si è detto prima, le considerazioni sulla giustizia ci offrono ragioni di azione che non lasciano spazio alla discrezionalità nel decidere cosa esattamente dobbiamo fare per gli altri, e per la maggior parte dei punti di vista, inoltre, ci offrono ragioni di azione che sono applicabili, cioè che possono essere giustificatamente sostenute con la forza da un’autorità legittima designata. Secondo altri punti di vista, tuttavia, le ragioni di giustizia non sono essenzialmente orientate all’azione, e si ritiene che l’identificazione di un’ingiustizia sia principalmente un compito valutativo, un compito che viene svolto indipendentemente dal fatto che vi siano ragioni per fare qualcosa riguardo all’ingiustizia e dal fatto che sia possibile per chiunque porvi rimedio (Cohen 2008). Le ragioni di giustizia, in questo caso, tracciano principalmente ciò che abbiamo motivo di rimpiangere, o di trovare sgradevole.
Rilevare le variazioni nell’uso del concetto di giustizia lungo le linee appena delineate è utile per due ragioni principali.
In primo luogo, poiché i teorici della giustizia hanno usato concetti di giustizia distributiva notevolmente diversi, e lo hanno fatto in genere implicitamente, senza dichiarare chiaramente cosa intendono quando affermano o negano che qualcosa sia un’esigenza di giustizia distributiva, essi – e i loro critici – hanno talvolta discusso in modo contraddittorio. Alcuni difensori della politica dell’identità, per esempio, che rifiutano il “paradigma distributivo” (Young 1990), si basano su una comprensione della giustizia distributiva secondo la quale essa riguarda solo la distribuzione delle risorse materiali. Si tratta di una concezione più ristretta di quella sostenuta da molti teorici della giustizia distributiva. Allo stesso modo, è stato sostenuto, la critica anti-costruttivista di Rawls sviluppata da G. A. Cohen si basa in parte sul fatto che Cohen utilizza un concetto di giustizia diverso da quello di Rawls (Willams 2008). Per Rawls, i principi di giustizia guidano l’azione e, più specificamente, sono principi che facilitano l’interazione cooperativa dei cittadini gli uni con gli altri, quindi (p. 6) devono essere quelli che i cittadini possono comprendere e che i cittadini possono verificare siano seguiti dagli altri. Per Cohen, al contrario, le considerazioni sulla giustizia non hanno bisogno di svolgere questo particolare ruolo sociale. (Per un’altra diagnosi della critica di Cohen a Rawls come premessa all’uso di diversi concetti di giustizia, si veda Anderson 2012). Notare che i filosofi hanno usato diversi concetti di giustizia distributiva rivela che alcuni disaccordi sono più apparenti che reali.
Portare in primo piano la diversità degli usi del concetto di giustizia e degli impegni sostanziali che sottendono tale diversità è importante anche per un’altra ragione, questa direttamente rilevante dal punto di vista dell’introduzione di questo volume. Una volta notato che l’idea di giustizia distributiva può essere ed è stata usata in molti modi, si ha un quadro più chiaro della vasta gamma di questioni che possono essere affrontate dai dibattiti sulla giustizia distributiva. Diventa evidente, per esempio, che una preoccupazione per la giustizia distributiva può informare la nostra posizione su quali accordi produttivi una società giusta dovrebbe ospitare, tanto quanto la posizione che prendiamo sull’allocazione di ciò che una società giusta produce; o che i teorici della giustizia possono essere tanto preoccupati per il godimento ineguale del riconoscimento da parte degli individui quanto per il loro accesso ineguale alle risorse. Come sottolinea Michael Walzer: L’idea di giustizia distributiva ha a che fare tanto con l’essere e il fare quanto con l’avere, tanto con la produzione quanto con il consumo, tanto con l’identità e lo status quanto con la terra, il capitale o i beni personali” (Walzer 1983: 3).
In linea con le osservazioni di Walzer, la scelta degli argomenti di questo volume riflette una comprensione generosa dell’ambito della giustizia distributiva. Il volume si apre, nella Parte I, con la discussione delle principali interpretazioni contrastanti delle esigenze della giustizia distributiva avanzate nei dibattiti contemporanei – quelle che ho già definito “le questioni fondamentali” per i teorici della giustizia. Mentre tutte le teorie contemporanee della giustizia si basano sul presupposto che tutte le persone hanno lo stesso status morale e dovrebbero essere trattate come eguali, condividendo così un “piano egualitario” (Kymlicka 1990: 5), esse divergono sostanzialmente su cosa esattamente richieda trattare le persone come uguali. Divergono, fondamentalmente, su quale modello di distribuzione del vantaggio le richieste di giustizia dovrebbero contribuire a creare, e su quale sia la valuta della giustizia, cioè su quale aspetto delle situazioni delle persone dovrebbe richiamare la nostra attenzione nel valutare se vi siano o meno ingiustizie distributive tra di esse.
Per quanto riguarda il modello di giustizia distributiva, alcuni teorici favoriscono politiche redistributive al fine di mitigare o eliminare il divario tra chi sta meglio e chi sta meno bene (che potremmo chiamare egualitaristi distributivi, o egualitari simpliciter, discussi nei capitoli 2 e 3), mentre altri ritengono che queste debbano solo assicurare che chi sta male abbia abbastanza, o che i suoi bisogni fondamentali siano soddisfatti (capitolo 4), e altri ancora che il miglioramento della situazione di chi sta peggio abbia la priorità (capitolo 3). Altri teorici vedono le politiche redistributive come richieste dalla giustizia nella misura in cui aiutano a garantire che le persone stiano bene o male come meritano di stare (Capitolo 7), mentre alcuni rifiutano qualsiasi politica redistributiva come ingiusta perché gli unici diritti che le persone hanno sono i diritti di usare, controllare e scambiare a piena immunità fiscale i diritti di proprietà privata giustamente acquisiti (queste sono giuste opinioni libertarie, discusse nel Capitolo 6).
(p. 7). 7) Le teorie della giustizia prendono anche una posizione su quale sia la moneta della giustizia distributiva: secondo alcuni, ciò che conta per la giustizia è l’accesso alle risorse che le persone hanno (si vedano i capitoli 1 e 2), mentre secondo altri punti di vista ciò che conta sono le opportunità di benessere che le persone hanno (capitolo 2), o l’effettiva libertà di raggiungere validi stati di essere e di fare (o “capacità” di funzionare, come, per esempio, la capacità di essere ben nutriti, o di sfuggire alla morbilità; il capitolo 5 discute l’approccio delle capacità in generale, nelle sue varianti egalitarie e non egualitarie).
Queste due serie di domande ortogonalmente correlate, circa il modello e la valuta della giustizia distributiva, hanno strutturato molti dibattiti tra i difensori delle principali concezioni contemporanee della giustizia, e guidano ampiamente la divisione degli argomenti tra i capitoli della Parte I. Poiché John Rawls e Ronald Dworkin hanno offerto le due teorie egualitarie contemporanee meglio elaborate (entrambe le quali considerano le risorse rilevanti per la giustizia), i due capitoli iniziali si concentrano sulla discussione di quelle e degli approcci correlati (quelli degli “egualitari della fortuna”) che hanno preso ispirazione da una o dall’altra di queste teorie. Altre importanti questioni correlate che i capitoli della Parte I affrontano includono il ruolo della responsabilità personale per la giustizia, la rilevanza della valutazione soggettiva degli individui della loro situazione rispetto a quella degli altri per determinare se sono ingiustamente avvantaggiati o svantaggiati, e la possibilità di conciliare gli impegni egualitari con l’approvazione di solidi diritti di proprietà privata sul proprio corpo e sulla propria mente (e quindi, una forte presunzione contro il paternalismo), che anima il progetto libertario di sinistra.
Le parti II e III trattano questioni, alcune sostanziali e altre metodologiche, che sono trattate meno spesso nel contesto del dibattito sulla giustizia distributiva.
Come si è detto prima, tutti i filosofi riconoscono che la giustizia distributiva, per quanto importante, non è l’unica virtù sociale che abbiamo motivo di sostenere, per cui sorgono domande su come le sue richieste si rapportino a quelle di altri valori centrali che una società dovrebbe promuovere o proteggere. I capitoli della Parte II affrontano queste domande. Si chiedono come le esigenze della giustizia nella punizione, che spesso si pensa richiedano di conferire la punizione in accordo con il deserto, si relazionino con quelle della giustizia nei beni della cooperazione sociale (Capitolo 8); se e come la promozione di valori impersonali come l’eccellenza nelle arti o nelle scienze o nei beni ambientali, pur non essendo essa stessa richiesta dalla giustizia, debba essere perseguita in una buona società, e se ciò sia in tensione con la giustizia (Capitolo 9); se una preoccupazione per il valore della cura e delle relazioni di assistenza debba essere sostenuta insieme alla giustizia (Capitolo 10); e se una società giusta sia anche una società che ascolti le molteplici richieste di riconoscimento degli individui e dei gruppi, compreso il riconoscimento delle identità distintive delle persone (e quindi delle loro differenze), l’accettazione sociale dei loro sé autentici e la valutazione del loro valore (Capitolo 11). Come emerge da alcune discussioni, e in linea con quanto detto nelle pagine iniziali di questo capitolo, è possibile concepire l’idea di giustizia distributiva in modo più o meno ampio, e a seconda di quanto ampia o stretta sia l’interpretazione della giustizia che abbracciamo, la nostra visione del suo posto rispetto ad altre virtù sociali sarà diversa. (Le richieste di riconoscimento delle persone, per esempio, possono essere considerate esse stesse qualcosa che le persone hanno il diritto di vedere soddisfatte; al contrario, con un’interpretazione più ristretta dell’idea di giustizia, quest’ultima viene considerata diversa e potenzialmente in tensione con i valori sostenuti dai difensori dell’etica della cura.)
I capitoli della Parte III affrontano alcune questioni centrali riguardanti la natura della nostra teorizzazione della giustizia distributiva; si tratta di questioni su cui ogni teoria deve prendere posizione, implicitamente o esplicitamente. Le nostre teorie della giustizia distributiva presuppongono una particolare visione della natura umana? Cosa ne deriverebbe, sia per la fattibilità che per la difendibilità di una teoria, dal riconoscere che certe disposizioni e desideri umani hanno una spiegazione evolutiva (Capitolo 12)? Le richieste di giustizia sorgono solo in un contesto in cui esistono le istituzioni politiche, e come la richiesta che le nostre istituzioni politiche siano legittime – che, come ho detto prima, si pensa sia una richiesta fondamentale che dovremmo fare alle nostre istituzioni condivise – si collega alla preoccupazione per la giustizia (capitolo 13)? Quali ipotesi sulla natura delle richieste morali fanno le teorie concorrenti della giustizia distributiva, e cosa apprendiamo su tali teorie quando teniamo presenti le distinzioni cruciali dell’etica normativa, tra consequenzialisti e non consequenzialisti, teorie deontologiche e teleologiche, requisiti neutrali e centrati sull’agente, e visioni lungimiranti e retrospettive (Capitolo 14)?
Gli ultimi tre capitoli della Parte III affrontano questioni apertamente metodologiche a cui i teorici della giustizia hanno prestato crescente attenzione. Da quali fatti dovremmo astrarre per teorizzare la giustizia, e se il tentativo di formulare principi che guidino le istituzioni di una società idealmente giusta – in cui assumiamo che tutti si conformino ai principi che formuliamo, e in cui le condizioni per realizzare la giustizia siano favorevoli – sia una parte utile e necessaria di una teoria della giustizia, o un’idealizzazione non necessaria e potenzialmente fuorviante (Capitolo 15). Qual è il metodo difendibile per giustificare i principi di giustizia distributiva? Come si rapportano tra loro i metodi di giustificazione apparentemente diversi impiegati dai diversi teorici della giustizia – costruttivismo, intuizionismo e analisi concettuale – (capitoli 15 e 16)?
La parte finale del volume, la IV, è dedicata alla discussione delle esigenze della giustizia distributiva in vari ambiti della vita sociale, economica e politica. I titoli di questi capitoli sono autoesplicativi. Molti di questi pezzi trattano argomenti diversi, ma importanti e correlati, e potrebbero essere utilmente letti insieme – questo è vero, per esempio, per i capitoli sul genere, sulla famiglia e sull’educazione, o per i capitoli sulle minoranze culturali e religiose, sulla lingua, sulla giustizia oltre i confini e sulle migrazioni. Per quanto riguarda alcune delle questioni sociali e politiche qui discusse, c’è già un ampio consenso sul fatto che le sfide che sollevano possono essere fruttuosamente analizzate attraverso la lente di un approccio di giustizia distributiva. Questo è il caso, per esempio, della distribuzione delle opportunità educative, dell’occupazione, dell’accesso alla salute, e delle rivendicazioni di risorse da parte degli individui oltre i confini. (Dire questo, come già notato sopra, non equivale a dire che le preoccupazioni di giustizia distributiva siano le uniche preoccupazioni che abbiamo motivo di riconoscere rispetto a questi temi). Con altre sfide che dobbiamo affrontare, come quelle presentate dalla persistenza delle divisioni sociali lungo le linee razziali e la necessità di prestare attenzione alle rivendicazioni delle generazioni future, ma anche ai torti dello sfruttamento e della discriminazione, è controverso se le questioni che affrontiamo siano utilmente considerate come questioni di giustizia distributiva. I capitoli su questi argomenti discutono questa importante questione tra le altre. Mentre gli argomenti trattati nei capitoli della Parte IV non dovrebbero esaurire le aree della nostra vita sociale che danno origine a problemi di giustizia distributiva, essi costituiscono una selezione considerevole dei casi centrali. I dibattiti che esaminano e le discussioni che vi contribuiscono sono un buon riflesso di quanto la giustizia distributiva sia ricca e ampia come area della filosofia politica.