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The Rise and Fall of Adam and Eve di Stephen Greenblatt recensione – come un mito è stato esposto

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Quando erano giovani, i miei figli riflettevano sulla loro provenienza. In diverse fasi della loro vita, hanno dato tre diversi tipi di risposta. La prima risposta era biologica: “Vengo dalla mamma. No, mamma e papà. E loro sono fatti di nonna e nonno, e nonna e nonno”. La seconda era geografica: “Vengo da Exeter. Ma sono nato a Cambridge. E vivo nello Yorkshire. E Oxford”. La terza era più sofisticata, e venne dopo qualche anno di scienza: “Vengo da ominidi africani. O dai pesci, se si risale abbastanza indietro.”

Una delle prime lezioni che i bambini prendono a cuore è che non sono sempre esistiti. C’è stato un tempo “prima di me”. Cercare di capire cosa fosse, cosa significasse, occupa gran parte del lavoro intellettuale dell’infanzia. E come mostrano gli esempi precedenti, non ci sono risposte facili: tutto viene da qualcos’altro. L’orrore esistenziale di un regresso infinito delle origini colpisce presto nella vita.

Le teorie sulle grandi questioni della cultura umana – a cosa servono la narrazione, l’arte e la religione? – non sono, per lo più, generate dai bambini. I professori a cui dobbiamo le nostre grandi teorie sono tipicamente meno preoccupati da “da dove vengo?” che da “dove sto andando? La maggior parte delle moderne teorie della civiltà umana riguardano, fondamentalmente, la necessità di affrontare la mortalità. Il nuovo entusiasmante libro di Stephen Greenblatt, tuttavia, sulle peregrinazioni della storia di Adamo ed Eva – il tentativo più influente al mondo di arrestare il regresso infinito della creazione – mostra quanto centrale sia stata la questione delle origini umane per le concezioni pre-scientifiche dell’umanità.

Questo non è un resoconto completo della ricezione della storia biblica: c’è poco sul giudaismo rabbinico, e quasi nulla sull’Islam. Greenblatt è uno specialista della cultura della prima Inghilterra moderna, ed è verso ovest, dai deserti di Israele all’Europa e infine al Nuovo Mondo, che la narrazione tesse il suo percorso. I protagonisti sono il vescovo cristiano nordafricano Agostino, che ha trasformato la storia in una storia di sesso e peccato; l’artista Albrecht Dürer, le cui incisioni su rame e i dipinti sul tema hanno rivoluzionato l’arte europea; John Milton, che ha trasformato l’intera storia biblica della creazione in un ritratto emotivamente complesso dei valori umani (che emerge in parte dalle sue riflessioni sul suo tragico, inetto e sconsiderato trattamento della moglie); Isaac La Peyrère, il teologo francese le cui riflessioni sugli abitanti indigeni delle Americhe lo portarono a postulare che l’umanità preesistesse ad Adamo ed Eva; il filosofo illuminista francese Pierre Bayle, che non poteva accettare il racconto della Genesi come letteralmente vero; e Charles Darwin.

Questo è, quindi, un libro sulla formazione storica degli atteggiamenti dell’Occidente cristiano sulle origini umane. È anche una parabola per il moderno occidente cristiano, in un’epoca in cui il creazionismo è apparentemente in aumento. Quando Greenblatt si riferisce nel suo titolo alla “caduta” di Adamo ed Eva, non intende la caduta dalla grazia dei personaggi mitici, ma il rapido declino dell’autorità delle spiegazioni bibliche che ha avuto luogo a partire dal XVIII secolo. Greenblatt non lascia al lettore alcun dubbio che la scienza ha vinto il dibattito intellettuale. È un realista illuminista: il costante accumulo di conoscenze filologiche, antropologiche, biologiche e geologiche ha reso la storia della Genesi non più sostenibile, se non come storia.

Augustino divenne il più appassionato difensore della storia della verità letterale del racconto biblico: suggerì persino che la trasgressione di Eva consisteva proprio nel non prendere abbastanza alla lettera i comandi di Dio (quindi guai a voi se seguite l’esempio!). Ma anche lui non riusciva a conciliare tutte le sue stranezze: “Per quanto uno si sforzi, non tutte le parole possono essere prese alla lettera, e Agostino non poteva trovare una regola semplice e affidabile per il grado appropriato di letteralità”. Adamo fu davvero fatto di fango? Quando ci viene detto che Dio parlò ad Adamo, dobbiamo immaginare che abbia usato un linguaggio umano che emanava da corde vocali fisiche? Quando la Bibbia dice che mangiare il frutto significò che gli occhi dei due proto-umani furono aperti, dobbiamo immaginare che erano stati sigillati fino a quel momento?

Il giardino delle delizie terrestri' (1500s) di Hieronymus Bosch.
Il giardino delle delizie terrestri’ (1500s) di Hieronymus Bosch. Fotografia: Heritage Images/Getty Images

Greenblatt ha molte di queste storie di pii lettori che cercano e non riescono a venire a patti con le implicazioni di una completa resa all’autorità biblica. Forse il più divertente è il caso del predicatore laico e naturalista Philip Gosse, che (tra le altre cose) creò il primo acquario di acqua di mare del mondo. Come molti altri nella Gran Bretagna vittoriana, Gosse era stato disturbato dalle scoperte del geologo Charles Lyell, il cui lavoro pionieristico nella stratigrafia delle rocce indicava che il mondo ha molti milioni di anni. Gosse si mise quindi a conciliare le prove della Bibbia con quelle del mondo fisico, e se ne uscì con una teoria ingegnosa. Il mondo, sosteneva, è effettivamente di origine recente; ma è stato creato da Dio con una storia geologica a monte. L’argomentazione della sua teoria era tanto magistralmente inventiva quanto assurdamente contorta. Gosse invitava i suoi lettori a considerare l’analogia di Adamo stesso: la Bibbia dice che fu creato come un adulto completamente formato, di (Gosse ipotizzava) circa 25-30 anni. Come la Terra, Adamo fu creato maturo; e ancora come la Terra, deve aver portato con sé tracce di una precedente giovinezza, anche se non ha mai vissuto quella. In particolare, Gosse ha indicato l’ombelico di Adamo – sicuramente deve averne avuto uno, come perfetto esemplare di umanità – come la traccia di una nascita che non ha mai avuto luogo. Se Adamo fu creato adulto con un ombelico, perché la Terra non potrebbe essere stata creata con complessi strati di roccia sedimentaria, testimonianza di un passato mai avvenuto?

Il successo della storia di Adamo ed Eva per così tanto tempo, tuttavia, è dovuto a qualcosa di più di sciocche riflessioni devozionali sugli ombelichi. È prima di tutto una storia ricca di motivi risonanti: utopia, comando e trasgressione, dovere e autonomia, sesso e differenza sessuale, paradiso ed esilio. È questo potere narrativo che spiega il suo fascino duraturo come stimolo alla creatività letteraria, artistica e filosofica. Greenblatt è chiaramente attratto dalle risposte creative più audaci che sfidano le ideologie dominanti. Un punto culminante memorabile – tanto più memorabile all’interno di una narrazione largamente centrata sul maschile – è la suora italiana del XVII secolo Arcangela Tarabotti, autrice di un tratto antipatriarcale senza compromessi, La tirannia paterna. Secondo Tarabotti, l’Eden era privo di discriminazioni tra i sessi, e in effetti Eva era fatta di una sostanza più nobile dell’argilla di Adamo; è solo la diffamazione malevola di Eva che ha portato alla sottomissione delle donne. Un altro punto saliente è lo slogan iconico di John Ball per la rivolta dei contadini inglesi (poi ripreso dai Diggers del XVII secolo): “Quando Adamo scavò ed Eva span, chi era allora il signore?”. Per Ball, il paradiso era definito dall’assenza di struttura di classe.

È Milton che rappresenta l’apice di questa creatività: Milton il genio letterario vanitoso, pio e puritano che, nella frase di Greenblatt, ha reso Adamo ed Eva “reali”. Da giovane, Milton era stato afflitto da una bizzarra avversione per la sessualità, che sfoggiava vanagloriosamente davanti ai suoi pari. A un certo punto, descrisse l’eiaculazione maschile come “la quintessenza dell’escremento”. Il suo matrimonio era praticamente condannato fin dall’inizio: non da ultimo perché Mary Powell era una sofisticata e giovane cittadina proveniente da una famiglia di Oxford di realisti a cui Milton doveva dei soldi, e quindi non era la compagna più probabile per un austero parlamentare. Quando la relazione si ruppe e Mary tornò nella sua casa di famiglia, Milton rispose con un trattato che proponeva che il divorzio fosse moralmente giustificabile. Il putiferio scandalizzato che ne seguì attirò una magnifica raffica di insulti dalla penna di Milton, tra cui “cervello-verme”, “avvocato testa di cazzo” e “lozel presuntuoso”. Ma quando la marea della guerra civile volse a favore dei Cromwelliani, Mary tornò da John in apparente pentimento. Milton, la cui visione stava cominciando a venirgli meno, trovò il suo cuore fuso: la riprese con sé, ed ebbero quattro figli prima della morte prematura di lei all’indomani del travaglio finale.

Fu in seguito a questo periodo di trauma personale, finanziario e politico che Milton scrisse Paradise Lost. Il paradiso che egli immaginava era, sostiene Greenblatt, un paradiso di perfetta libertà umana dai vincoli politici e sociali. Era il modello utopico di uno stato raggiungibile in cui gli uomini erano liberi da tirannie sia letterali (il re) che metaforiche (le convenzioni sociali). Ma quello stato edenico si stava rapidamente allontanando: non solo era ormai cieco, ma la restaurazione della monarchia fu anche accompagnata da una serie prevedibilmente sanguinosa di recriminazioni contro i parlamentari. Milton, tuttavia, era indomito, e andò avanti. Di notte, sosteneva, veniva visitato da una misteriosa figura che chiamava Urania (dal nome della Musa greca della cosmologia) che gli dettava versi in bianco. Al mattino dettava i versi. Se l’amanuense era in ritardo, gridava: “Voglio essere munto!”. Il suo successo, secondo Greenblatt, non era quello di creare un’allegoria della politica, o della sua caotica vita amorosa, ma di attingere a quelle esperienze e creare un dramma cosmico che fosse fedele alla vita. Ognuno dei suoi personaggi – Adamo ed Eva, ma anche Dio e Satana – risponde in un modo che fanno i veri esseri umani. Questa “realizzazione” delle figure bibliche, sostiene Greenblatt, ha giocato un ruolo critico nella desacralizzazione del mito, anche a dispetto degli impegni teologici di Milton: “Adamo ed Eva erano diventati così reali nell’immaginazione di Milton che cominciarono a rompere l’intero apparato teologico che li aveva portati in vita.”

L’Ascesa e la Caduta di Adamo ed Eva è senza dubbio quello che gli studiosi chiamavano un libro “whiggish”: uno studio del disincanto occidentale, del progresso intellettuale, del potere sbiadito dei miti di un’epoca più semplice. Ma è uno studio più complesso di questo. È anche un’ode alla creatività umana e alla potente presa della narrazione. Greenblatt conclude la sua storia con un resoconto della sua visita ad un progetto sugli scimpanzé a Kibale, in Uganda. L’evoluzione è, naturalmente, la risposta della scienza moderna alla domanda “da dove veniamo?”. L’evoluzione è un “mito”, non (sicuramente) nel senso che è falso o irrazionale, ma nel senso che provoca lo stesso impressionante, vertiginoso senso di scrutare nel profondo pozzo del tempo che la Genesi ha fatto una volta. Se il 21° secolo troverà il suo Milton per esprimere il potere e la realtà della sua nuova mitologia resta da vedere.

– The Rise and Fall of Adam and Eve è pubblicato da Bodley Head. Per ordinare una copia a £18.75 (RRP £25) andare su bookshop.theguardian.com o chiamare lo 0330 333 6846. Gratuito nel Regno Unito p&p sopra le 10 sterline, solo ordini online. Ordini telefonici min p&p di £1,99.

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