Tobit, chiamato anche Il Libro di Tobia, opera apocrifa (non canonica per ebrei e protestanti) che ha trovato la sua strada nel canone cattolico romano attraverso la Septuaginta. Un racconto popolare religioso e una versione giudaizzata della storia dei morti riconoscenti, racconta come Tobit, un pio ebreo esiliato a Ninive in Assiria, osservò i precetti della legge ebraica facendo l’elemosina e seppellendo i morti. Nonostante le sue buone opere, Tobit fu colpito dalla cecità.
Concorrente con la storia di Tobit è quella di Sara, figlia del parente più prossimo di Tobit, i cui sette mariti successivi furono uccisi ciascuno da un demone durante la loro notte di nozze. Quando Tobit e Sarah pregano Dio per la liberazione, Dio manda l’angelo Raffaele ad agire come intercessore. Tobit riacquista la vista e Sarah sposa Tobias, il figlio di Tobit. La storia si chiude con il canto di ringraziamento di Tobit e il resoconto della sua morte.
Il libro riguarda principalmente il problema di conciliare il male nel mondo con la giustizia divina. Tobit e Sarah sono pii ebrei inspiegabilmente afflitti da forze maligne, ma la loro fede viene infine premiata e Dio viene rivendicato come giusto e onnipotente. Altri temi importanti sono la necessità per gli ebrei che vivono fuori dalla Palestina di osservare rigorosamente la legge religiosa e la promessa della restaurazione di Israele come nazione.
Imprecisioni storiche, arcaismi e riferimenti geografici confusi indicano che il libro non fu effettivamente scritto a Ninive all’inizio del VII secolo a.C. Piuttosto, la sua enfasi sulla sepoltura dei morti suggerisce che sia stato scritto, forse ad Antiochia, durante il regno (175-164 a.C.) di Antioco IV Epifane di Siria, quando agli ebrei fedeli alla loro religione era proibito seppellire i loro morti.