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Tutto su Betelgeuse. How Big Is It?

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A pagina 23 del primo volume di un libro popolare del 1923 intitolato Hutchinson’s Splendor of the Heavens, appare un curioso disegno. C’è un ragazzo che spara con un fucile e un uomo più anziano che guarda nella direzione opposta e sta per essere colpito dal proiettile dopo che ha percorso l’intera circonferenza di Betelgeuse. La didascalia all’interno dell’immagine dice che se un quattordicenne sparasse con un fucile, dovrebbe aspettare fino a 70 anni perché il proiettile che ha sparato completi un giro completo intorno alla stella.

A parte la stranezza della situazione – un’attesa molto paziente di 56 anni, per portare a termine il più prolungato tentativo di suicidio mai realizzato – il disegno ci porta a riflettere sull’immensità di Betelgeuse. Nel secondo volume della stessa opera, appare uno schizzo che mette a confronto alcune famose giganti rosse e supergiganti, immaginandole come cerchi concentrici. Secondo le conoscenze dell’epoca, Antares era la stella più grande di tutte, e Betelgeuse veniva al secondo posto.

Tuttavia, l’informazione veramente interessante si trova nella didascalia del disegno:

Con un meraviglioso adattamento del principio di interferenza della luce, gli astronomi dell’Osservatorio di Mount Wilson, in California, sono stati in grado di misurare i diametri angolari di alcune delle stelle giganti. Essendo le distanze approssimativamente note, i loro veri diametri possono essere calcolati.

Il testo citato si riferisce a un famoso esperimento condotto da Albert A. Michelson e Francis G. Pease nel 1920, esattamente un secolo fa, durante il quale un interferometro fu usato per la prima volta per misurare il diametro angolare di una stella. Michelson e Pease scelsero Betelgeuse per il loro esperimento e quello fu il primo passo verso una determinazione realmente affidabile delle sue dimensioni.

L’esperimento di Michelson e Pease e il diametro angolare di Betelgeuse

In sostanza, un interferometro è un apparecchio che, attraverso un sistema di specchi, produce immagini distinte dello stesso oggetto e poi le sovrappone. La sovrapposizione genera le cosiddette frange di interferenza dovute alla natura ondulatoria della luce. La presenza di tali frange è legata alla lunghezza d’onda della luce e alla distanza percorsa da essa. Sulla base di questi dati, è possibile determinare esattamente il diametro angolare dell’oggetto osservato. Una volta conosciuto il diametro angolare, se si conosce anche la distanza della stella (Betelgeuse nel nostro caso), si può facilmente ottenere il suo diametro lineare.

Lo schema dell’interferometro usato da Michelson e Pease. Le lettere numerate indicano i quattro specchi montati sul telescopio da 2,5 m dell’osservatorio di Mount Wilson

Una domanda naturale sorge, pensando a questo esperimento: Perché Michelson e Pease avevano bisogno di un interferometro? Le capacità tipiche del telescopio Hooker di 2,5 metri dell’Osservatorio di Mount Wilson non erano sufficienti per individuare direttamente il disco di Betelgeuse e calcolarne il diametro angolare? Purtroppo no, non erano sufficienti. Il fatto è che le stelle – tutte le stelle a parte il Sole – sono così lontane dalla Terra che, soprattutto all’epoca di Michelson e Pease, anche il più grande telescopio terrestre non poteva mostrarle che come punti luminosi, sfocati dal passaggio della luce attraverso la turbolenza dell’atmosfera. Così l’interferometria, con la sua capacità di moltiplicare le informazioni contenute nella luce attraverso l’uso sapiente del fenomeno dell’interferenza, divenne uno strumento indispensabile per raggiungere la risoluzione necessaria per misurare l’angolo sotteso dal disco delle stelle diverse dal Sole. Betelgeuse fu solo la prima di molte.

I quattro specchi da 6pollici montati in cima alla gabbia del telescopio di Mount Wilson, che Michelson e Pease utilizzarono nel loro famoso esperimento

Ma quali conclusioni raggiunsero i due scienziati dopo aver osservato la supergigante rossa con l’interferometro? Le possiamo leggere alla fine dell’articolo che pubblicarono nel 1921:

Assumendo che la lunghezza d’onda effettiva per una Orionis sia λ 5750, il suo diametro angolare dalla formula α = 1,22 λ/b risulta essere 0″.047; e con una parallasse di 0″.018 il suo diametro lineare risulta essere 240×10⁶ miglia, ovvero poco meno di quello dell’orbita di Marte. Questo valore corrisponde ad un disco uniformemente illuminato, mentre per uno oscurato al lembo, questo risultato (…) sarebbe aumentato di circa il 17%. L’incertezza della misura del diametro angolare è di circa il 10 per cento.

Osservato con l’interferometro da Michelson e Pease, il disco di Alpha Orionis, cioè, Betelgeuse, sottendeva un angolo di 47 mas (millesimi di secondo d’arco), a cui – dato un angolo di parallasse di 18 mas – corrispondeva un diametro lineare di 240 milioni di miglia, cioè 386 milioni di chilometri, con un’incertezza del 10 per cento. Tenendo conto dell’oscuramento dell’arto, e quindi aumentando il valore trovato del 17 per cento, il diametro saliva a 452 milioni di chilometri, pari a quasi 325 volte il diametro del Sole.

Con il senno di poi, possiamo dire che Michelson e Pease sottostimarono notevolmente le dimensioni reali di Betelgeuse, perché l’angolo di parallasse da loro adottato, 18 mas, era notevolmente maggiore di quello che oggi consideriamo più accurato. Da quell’angolo, otteniamo una distanza di 55 parsec, cioè solo 181 anni luce. Si tratta di una distanza quattro volte inferiore a quella ritenuta oggi più affidabile, che è di 724 anni luce (una distanza ottenuta con tecnologie molto più avanzate di quelle disponibili all’epoca di Michelson e Pease). Se ripetiamo il calcolo basato su questa nuova distanza, per un diametro angolare di 47 mas, otteniamo un diametro lineare di 1,56 miliardi di km. E se aggiungiamo un ulteriore 17% per tenere conto dell’oscuramento dell’arto, arriviamo a 1,83 miliardi di km – un diametro davvero colossale, l’equivalente di oltre 1.300 diametri solari!

Quindi, se questo era il diametro di Betelgeuse un secolo fa, è interessante confrontarlo con quello ottenuto dagli studi interferometrici più recenti. Anche se un secolo è praticamente nulla nella vita di una stella, Betelgeuse è una stella particolare, soggetta a cicli di pulsazioni che fanno variare le sue dimensioni molto rapidamente.

Betelgeuse osservata nel 2009 con lo strumento di ottica adattiva NACO sul Very Large Telescope dell’ESO. La risoluzione è di 37 milliarcsecondi, che è più o meno la dimensione di una palla da tennis sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS), vista da terra. L’immagine è basata su dati ottenuti nel vicino infrarosso, attraverso diversi filtri. Il campo visivo è largo circa mezzo arcsecondo

Una supergigante in contrazione

La prova impressionante di questa variabilità di dimensioni è fornita da uno studio pluriennale condotto da un team di ricercatori dell’Università della California a Berkeley, che ha utilizzato i telescopi ISI (Infrared Spatial Interferometer), installati sulla cima del Monte Wilson nella California meridionale, per monitorare le variazioni di dimensioni di Betelgeuse. Il team di ricerca, che iniziò la campagna di osservazione nel 1993 e la portò avanti per quindici anni, era guidato da Charles H. Townes, premio Nobel per la fisica nel 1964 per i suoi studi fondamentali sull’elettronica quantistica, che hanno portato allo sviluppo del laser e del maser.

Quello che questi ricercatori hanno scoperto è abbastanza sorprendente, come si può capire leggendo la seguente spiegazione, fornita da Townes a sostegno dello studio pubblicato nel 2009, che presentava i risultati scientifici delle loro osservazioni:

Osserviamo intorno agli 11 micron, il medio infrarosso, dove questa lunga lunghezza d’onda penetra la polvere e la stretta larghezza di banda evita qualsiasi linea spettrale, e così vediamo la stella relativamente non distorta. Abbiamo anche avuto la fortuna di avere uno strumento che ha operato in modo molto simile per circa 15 anni, fornendo una lunga e consistente serie di misure che nessun altro ha. Le prime misurazioni hanno mostrato una dimensione abbastanza vicina al risultato di Michelson, ma nel corso di 15 anni, la dimensione è diminuita di circa il 15%, cambiando dolcemente, ma più velocemente con il passare degli anni.

Quindi, nel corso degli anni, il diametro della supergigante si è progressivamente ridotto, fino a perdere in totale circa il 15% della dimensione misurata nel 1920 da Michelson e Pease. Un altro fatto curioso è che, negli stessi anni in cui il diametro è diminuito, la luminosità di Betelgeuse è invece rimasta quasi stabile. Se la stella si è ridotta, la sua superficie radiante deve essere diminuita in proporzione. Come può la luminosità essere rimasta la stessa?

Le variazioni del diametro angolare di Betelgeuse tra il 1993 e il 2009 in base alle osservazioni effettuate con l’interferometro ISI a 11.15 μm

Una possibilità è che la diminuzione del diametro di Betelgeuse registrata dal team di Townes non sia stata uniforme, ma asimmetrica, probabilmente una conseguenza dei giganteschi moti convettivi che interessano gli strati superficiali della stella. A questo proposito, lo stesso Townes, insieme ad altri autori, ha pubblicato nel 2007 un lavoro che descrive la presenza di una precisa asimmetria nel contorno di Betelgeuse, ottenuta proprio dalle osservazioni effettuate con l’interferometro ISI.

Edward Wishnow, uno degli scienziati che aveva partecipato con Townes alla campagna di osservazione, non poté fare a meno di osservare quanto grande sia la quantità di cose che ancora ignoriamo sulla fisica stellare:

Ma non sappiamo perché la stella si stia restringendo. Considerando tutto quello che sappiamo sulle galassie e sull’universo lontano, ci sono ancora molte cose che non sappiamo sulle stelle, compreso quello che succede quando le giganti rosse si avvicinano alla fine della loro vita.

Bisogna notare che il diametro angolare di una stella varia non solo in funzione di quanto effettivamente si espande o si contrae ma anche in base alla lunghezza d’onda su cui sono centrate le osservazioni interferometriche. Quello che possiamo osservare nella luce visibile è diverso da quello che possiamo osservare nell’ultravioletto o nel vicino e medio infrarosso. Ogni gamma di lunghezze d’onda campiona un diverso strato di materia stellare, dalla fotosfera alla parte più esterna dell’atmosfera. Alla fine, cambia il diametro che si ottiene.

Le variazioni del diametro angolare di Betelgeuse misurate tra il 1993 e il 2009. I valori riportati nella tabella tengono conto dell’oscuramento degli arti del disco stellare

Questo però non è il caso delle osservazioni effettuate tra il 1993 e il 2008 dal team Townes. Come menzionato nel passaggio citato sopra, Betelgeuse è stata osservata per tutti i quindici anni con lo stesso strumento e alla stessa lunghezza d’onda. Pertanto, il restringimento misurato deve essere considerato reale. Supponendo che si sia trattato di un fenomeno uniforme, che ha interessato l’intera superficie stellare allo stesso modo, il diametro fisico di Betelgeuse in quei quindici anni è passato da 1,86 a 1,59 miliardi di km.

Betelgeuse continua naturalmente ad essere tenuta sotto stretta sorveglianza. Osservazioni con diversi interferometri negli ultimi due decenni indicano che il diametro angolare campionato allo strato della fotosfera stellare rimane intorno ad un valore di 43 millesimi di secondo d’arco. Ecco un elenco dei diametri angolari misurati dai principali studi dedicati all’osservazione di Betelgeuse dal 2000 in poi:

  • 43,76 ± 0,12 mas (Perrin et al, 2004);
  • 44,31 ± 0,12 mas (Haubois et al., 2009);
  • 43,6 mas (Chivassa et al., 2009)
  • 43,56 ± 0,06 (Ohnaka et al., 2009);
  • 42,49 ± 0,06 (Ohnaka et al, 2011);
  • 42,28 ± 0,03 (Montargès et al. 2014);
  • 43,15 ± 0,50 (Montargès et al., 2016).

Se assumiamo la distanza di 724 anni luce proposta da Harper e colleghi, il diametro angolare attuale di Betelgeuse corrisponde ad un diametro lineare di 1,44 miliardi di km, pari a 1.038 volte il diametro solare. Se Betelgeuse fosse al posto del Sole, la sua fotosfera toccherebbe quasi Giove!

Il fisico dellaUC Berkeley Charles Townes pulisce uno degli specchi dell’interferometro spaziale a infrarossi. Townes è morto nel gennaio 2015, sei mesi prima di compiere 100 anni

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